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Perché scegliere sociologia all'università

 

Anche quando ho terminato il liceo classico, con una marea di nozioni teoriche nella testa e tante aspettative per il futuro, giacché ci avevano inculcato l’idea di poter diventare la futura classe dirigente della società in cui vivevamo, i dubbi sulla scelta della facoltà universitaria erano tantissimi.

Per lo più i miei amici e compagni erano proiettati verso giurisprudenza, un paio avrebbero scelto lettere, qualcuno più lungimirante e portato per lo studio scientifico, ingegneria.

Nessuno aveva optato per sociologia.

Io, dopo aver letto la classica guida dello studente, ero rimasta affascinata dagli esami da sostenere: a parte sociologia, c’era la possibilità si studiare antropologia culturale, economia politica, diritto pubblico, filosofia, scienza politica, storia sociale, comunicazione, statistica, inglese e francese, solo per citare qualche esame.

Era uno studio variegato, niente affatto noioso, per certi aspetti innovativo.

Ma si poneva il quesito più pratico dei fatidici sbocchi lavorativi: cosa fa il sociologo veramente? Nessuno riusciva a darmi una risposta esauriente. Così cominciai ad indagare e scoprii che c’era chi lavorava al Comune al fianco degli assistenti sociali, chi nelle comunità di recupero per tossicodipendenti, chi nelle cooperative coordinando i servizi per anziani, disabili, minori a rischio, chi si era buttato nel campo del giornalismo o a scuola, sia come assistente amministrativo, sia come DSGA o come docente di sociologia, pedagogia, filosofia e psicologia. Qualcuno addirittura lavorava in banca, qualcun’ altro aveva aperto una scuola privata, qualcuno purtroppo si era rassegnato e non lavorava affatto.

Una cosa era certa: dovevo studiare qualcosa che mi piacesse davvero prima di tutto in modo da finire gli studi in tempo utile e poi magari pensare ad una specializzazione.

Infatti era proprio lì il segreto.

Questo è il mio primo consiglio.

Tra tutte le materie e gli esami studiati e sostenuti era ed è necessario focalizzarsi su uno di essi, vuoi di natura economica o politica o filosofica.

Così dopo il percorso universitario, concluso nel 2002 quando bastavano 24 esami e 4 anni per avere una laurea completa, cominciai a seguire un master in economia, un corso sulle pari opportunità, uno sulla mediazione culturale, uno sulla catalogazione del libro antico e moderno.

Ma non solo: avevo voglia di essere autonoma, così cominciai a scrivere per i giornali ( cosa che faccio tuttora ), a guadagnare qualche spicciolo nelle cooperative sociali del Sud Italia, a progettare con il Comune servizi per i soggetti svantaggiati. Erano tutti impegni vicini al non profit e sempre a termine. Io volevo un lavoro fisso, a tempo indeterminato, che mi consentisse di vivere tranquilla e crescere i miei figli, insomma essere definitivamente autonoma.

Anche l’ insegnamento nelle scuole private serviva come esperienza e trampolino di lancio per tenersi aperta la porticina della scuola pubblica e per anni ho insegnato.

Oggi sono direttrice amministrativa facente funzione a scuola ma la passione per l’insegnamento non mi è mai del tutto passata, così continuo a fare ciò che mi piace ma anche ciò che mi permette di guadagnare e di vivere. Poi restano le passioni, i sogni, la voglia di scrivere che per adesso non fruttano denaro, ma che restano appaganti per lo spirito.

È proprio questo che a 43 anni ho imparato e sento di poter rendere pubblico, sia per i miei figli che per gli altri.

La cosa più importante non è la scelta della facoltà universitaria, ma seguire le proprie passioni e lottare senza arrendersi per dimostrare in ogni ambito il proprio spessore, le proprie qualità.

Naturalmente laurearsi in informatica, in fisica e matematica o in ingegneria chimica o aerospaziale spalanca le porte sul mondo del lavoro in maniera più repentina e remunerativa. Ma non tutti sono portati per questo tipo di studi.

Quindi anche sociologia, che sembra insegni aria fritta, se fatta con passione, se in seguito ci si specializza in un ambito preciso o semplicemente si comincia a lavorare in un ambito del tutto nuovo, può dare i suoi frutti.

La sociologia, infatti, rende poliedrici, capaci di adattarsi al nuovo, multitasking insomma. Probabilmente oggi queste sono prerogative indispensabili per svolgere qualsiasi tipo di lavoro, unite alla buona volontà, all’umiltá di imparare, alla capacità di lavorare bene in gruppo.

Quindi ai ragazzi che oggi scelgono sociologia all’universitá posso consigliare di mettercela tutta, di studiare con passione, anche su fotocopie prestate e scarabocchiate, persino prendendo manuali e libri in prestito in biblioteca.

Il sapere è la risorsa più preziosa che esista al mondo e solo in seguito, quando ci si ritrova a lavorare nei più svariati ambiti, si capisce quanto sia stato importante lo studio quasi rubato ai tempi dell’universitá.

In bocca al lupo!

Annalisa Capaldo

 

 

 

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