Sono un docente italiano; e sono ricco
Cari vertebrati,
chi, tra noi insegnanti, non ha mai sentito alcuni colleghi lamentarsi di quanto sia poco remunerata la nostra professione? “La scuola”, sostengono, “è un caposaldo imprescindibile della società e noi abbiamo stipendi da fame!”. Il che non fa una piega, ci mancherebbe. Ma io sono miliardario. Guadagno più dei famosi: più di Carlo Conti, più di Bonolis, più di Mattarella, più di Gentiloni.
Ho le tasche piene, talvolta faccio fatica a camminare: le mie monete pesano e tintinnano, e la gente si volta a guardarmi con invidia. Le persone che mi circondano intuiscono quanto sia agiato. Ho qualcosa che in pochissimi hanno. E nessuna Carta del Docente potrà aggiungere qualcosa a quanto già posseggo: ho il tempo.
L’unica valuta che non conosce deflazioni, sempre spendibile, che ti fa accedere a qualsiasi mutuo concernente l’esistenza. Con il mio tempo, tessuto con immaginazione, costruisco autostrade, mondi paralleli, case e follie. Con il mio tempo incrocio, ogni mattina, gli sguardi dei miei studenti: preoccupati, insicuri, fiduciosi, annoiati, stupiti. Con il mio tempo posso fare della mia giornata quello che voglio: posso impigrire come un cane, muovendo, indolente, la coda sotto il sole di giugno, posso cantare con gli amici a sera, con l’acqua fresca dei miei occhi che rilucono di avventure, posso strusciarmi alla notte come un gatto in amore e intuire le stelle.
Posso fare quello che alla maggior parte dei miei amici non riesce, perché il loro lavoro coincide con l’esistenza stessa: vanno in ufficio, rientrano, dormono, vanno in ufficio, rientrano, dormono. Io no. Vado a scuola. Ogni tanto ho qualche riunione. Correggo dei compiti. Ma vivo.
Ho il sole (o la pioggia) sempre addosso, libri da leggere, amicizie da inventarmi, sorrisi, pianti, corse in bicicletta, sogni a profusione. Sono giovanissimo, eppure millenario, visto che mi è stato possibile entrare nella vita degli altri, di proiettare la mia ombra, allungandola nel desiderio, dato che la mia anima ha radici profonde in una terra bagnata di promesse.
Certo, le persone che incontro hanno conti in banca più sostanziosi, più sicurezze e, a fine mese, non devono sempre sperare, come me, che vada tutto bene. Ma il mio codice iban è pieno di ricordi e baci; benedetto dalla fortuna. Non temo che qualcuno trafughi i miei dati bancari, mi fido di chi accede a me stesso.
Rockefeller era uno straccione, Agnelli un elemosinante, Henry Morgan un nullatenente rispetto a me: tutte le piscine delle loro ville non contano quanto la pozzanghera in cui mi specchio. Alla strada che percorro. Ai ragazzini che mi restituiscono le ore (e quanto ancora imparo!): perché sono un insegnante; e sono ricco.
fonte: l'opionanista