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Marina Cvetaeva: artista e donna senza compromessi

 

In questo periodo in tutto il mondo è in atto una nuova rivoluzione sessuale, in cui uno dei temi centrali è la donna, il suo ruolo sociale e i suoi diritti.

Nel corso della storia tante donne hanno contribuito a dare voce alla figura femminile e fra queste se ne trova una in particolare, che ha cambiato la letteratura russa nella prima metà del XX secolo.

[...] ho capito che non sento nulla come loro e loro non sentono nulla come me... E non solo qui, all'estero: in Russia era lo stesso e ovunque è e sarà così perchè quella degli altri è vita, e questa -cioè io- è stata (è, e sarà) tutta un'altra cosa.”*.

Questa è Marina Ivanovna Cvetaeva, una delle più importanti voci poetiche femminili del XX secolo, un'artista “condannata alla poesia, auscultazione dell'anima, delle anime”.* (*V. Schweitzer, Marina Cvetaeva, I giorni e le opere, p. XIII).

Marina Cvetaeva nacque a Mosca nel 1892, in una famiglia benestante e molto legata alla cultura e all'arte.

Il padre era professore all'università di Mosca e la madre una concertista di pianoforte.

Marina ebbe dapprima un'istitutrice, poi fu iscritta al ginnasio, quindi, quando la tubercolosi della madre costrinse la famiglia a frequenti e lunghi viaggi all'estero, frequentò degli istituti privati in Svizzera e Germania (1903-1905) per tornare, infine, dopo il 1906, in un ginnasio moscovita.

Nel 1909 si trasferì da sola a Parigi per frequentare lezioni di letteratura francese alla Sorbona e per avvicinarsi alla patria di Napoleone, figura molto ammirata da lei in quel periodo.

Il suo primo libro di poesie, Album serale, pubblicato ne 1910, fu notato e recensito da alcuni tra i più importanti poeti del tempo, come Gumilёv, Brjusov e Volosin; meno apprezzata fu invece la sua seconda raccolta Laterna magica pubblicata nel 1912, periodo in cui la giovane Marina si sposò con Sergéj Efron, di orgine ebrea e di famiglia molto colta.

Durante la rivoluzione bolscevica del 1917 Marina si trovava a Mosca, ma a causa della guerra civile si trovò separata dal marito, che si unì all'armata dei bianchi, fino al 1922, anno in cui lasciò la Russia per raggiungerlo in Occidente.

Fino al 1925 la Cvetaeva visse felicemente con il marito a Praga, per poi trasferirsi a Parigi per i successivi quattordici anni, gli anni della sua più ampia produzione, appartenente alla letteratura degli emigrati; tuttavia, anno dopo anno diversi fattori contribuirono ad un grande isolamento della poetessa e ne comportarono l'emarginazione.

È l'anno 1937 che segnò il peggio: Efron, che aveva cominciato (all'oscuro della moglie) a collaborare con GPU, venne accusato dell'omicidio di un ex agente sovietico e decise, in segreto, di scappare e fare ritorno in Unione Sovietica.

Sempre più immersa nella miseria, sotto la pressione dei figli desiderosi di rivedere la patria, Marina decise di tornare in Russia.

Una volta lì, capì in fretta che per lei non c'era posto o possibilità di pubbicazione: agli occhi dei russi la Cvetaeva era una traditrice del partito, un'ex emigrata che aveva vissuto in Occidente e sostenitrice dello Zar.

Di ciò la accusavano anche per i suoi precedenti scritti (L'accampamento dei cigni, composto nel 1917-1922, ma pubblicato nel 1957), dove era apparso evidente come la scrittrice vedesse la Rivoluzione in termini negativi.

In realtà La Cvetaeva si giudicava come apolitica, e tale appoggio verso la causa zarista, era basato sul suo desiderio di mettersi sempre dalla parte dei perdenti, degli emarginati.

Sappiate una cosa: che anche là io sarò con i perseguitati e non con i persecutori, con le vittime e non con i carnefici” (Marina I. Cvetaeva, Poesie; a sua volta: Z. Šachovskaja, Ličnost' Mariny Cvetaevoj in MC1L, p.85)

Nell'agosto del 1939, sua figlia venne arrestata e deportata nei gulag ed Efron venne fucilato.

Fu inutile l'aiuto che la poetessa chiese fra i letterati, tutti la fuggivano e, quando cominciò l'invasione tedesca, venne evacuata ad Elabuga, dove visse momenti di disperazione e desolazione, con le continue accuse da parte del figlio, che la incolpava della loro misera e tragica situazione.

Una domenica del 1941, rimasta sola in casa, s'impiccò.

Marina Ivanovna Cvetaeva è un'autrice riconosciuta per le sue poesie ricche di pura passione e di amore, ma non solo: era una vera e propria anticonformista, un donna controcorrente e libera.

Libera da qualsiasi imposizione, etichetta e convenzione la società abbia cercato di imporle.

Questo suo animo ribelle, in parte, vede le sue radici nel rapporto con la madre, Marija Aleksandrovna Mejn: una donna forte e colta, che durante la sua infanzia sentiva il forte peso delle convenzioni e delle regole sociali imposte dalla famiglia.

Il suo carattere si definì per quei sogni infranti e per quelle imposizioni che la società da lei si aspettava: prendere marito e dedicarsi esclusavamente alla vita domestica.

Tutti mi dicono che non posso trascorrere le giornate a leggere, che è tempo di trovare un'occupazione utile, un qualche lavoretto d'ago e filo, come si conviene a una donna e non a uno studioso.[...] Verrà il giorno [...] delle meschine preoccupazioni della vita quotidiana, il giorno in cui finirò in quel gorgo e non avrò più tempo per leggere...” (V. Schweitzer, Marina Cvetaeva, I giorni e le opere, p. 24; a sua volta: dal diario di Marija Mejn).

La Cvetaeva lesse tali ricordi nei diari della madre e ne venne così influenzata diventando una ragazza desiderosa di libertà, di fare esperienze, di scoprire il mondo, di vivere, di amare, di sentire, ma di sentire in modo vero, discostandosi dalle etichette e dai pregiudizi, andando oltre la mentalità borghese.

Della vuota mediocrità fatta di apparenze, scrive di “.. questa fatale falsità:/ dei bigodini, pannolini/ dei ferri roventi per ricci/ dei capelli bruciacchiati/...”(Il treno della vita, Marina I. Cvetaeva, Poesie, p.126).

Non stupisce che il suo “peggior nemico” fosse la mentalità mediocre e chiusa, quella di persone incapaci di pensare, incapaci di amare, incapaci di sentire e comunque troppo distanti dal suo modo di percepire il mondo e i sentimenti.

Attraverso la sua poesia la Cvetaeva cercò di studiare, d'interrogarsi sulla vita reale e sui suoi più piccoli particolari, in qualche modo per poter superare e vincere su quello che, per lei, era quotidiano e lontano dal poetico.

Forse detestava la routine e l'importanza sprepositata che è spesso data a cose di poco conto, su cui sembra girare l'intera “esistenza”; oggetti e supeficialità che arrivano a svuotare la vita vera, facendo dimenticare l'importanza della stessa.

Un esempio può essere visto nella poesia Lettori di giornali (Читатели газет), dove è evidente un certo disprezzo per la massa; una massa che segue senza indugio, senza porsi domande, “mastica notizie” senza nulla filtrare attraverso un criterio obbiettivo. [...]

Dondolano - «vive con la sorella»

ruttano – «ha ucciso il padre!»

si dondolano, il nulla

si pompano dentro.


Che sonoper questi signori

il tramonto oppure l'alba?

Divoratori di vuoto, lettori di giornali.”


Di solito un autore scrive di ciò che sa, ma un artista si definisce tale quando riesce a mettersi a nudo, ed è questo che rende la Cvetaeva un'artista.

Attraverso la poesia lei viveva, si raccontava, si sfogava e si spogliava senza paura di essere giudicata, e ciò è straordinario e pieno di coraggio, specialmente se si tiene conto della disparità di genere fra uomo e donna, ancora presente al giorno d'oggi.

Ma la Cvetaeva vedeva se stessa anche come una “condannata” al dono della poesia, sapeva di essere dotata di una maggiore sensibilità, con diverse modalità di giudizio, attraverso le quali osservava e studiava il mondo che la circondava.

Da tale condanna ne derivava una solitudine per cui l'unica via d'uscita era la creazione artistica, la quale ha fatto sì che la scrittrice vincesse sul tempo, lasciando parte di sé nella letteratura.

È per questo motivo, appunto, che Lei ha vinto, dando alle generazioni di artisti successive la possibilità di scoprirla.

 


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